In queste settimane si stanno svolgendo in Commissione Agricoltura le audizioni per l’Indagine Conoscitiva su Xylella Fastidiosa. Tra gli esperti ascoltati anche la lunga audizione del prof. Pierfederico La Notte, ricercatore del CNR di Bari.
“L’ordine del giorno reca l’audizione dei rappresentanti del consiglio nazionale delle ricerche (CNR) nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’emergenza legata alla diffusione della Xylella fastidiosa nella regione Puglia.
È presente qui con noi Pierfederico La Notte, ricercatore presso l’Istituto Per la Protezione Sostenibile delle Piante (IPS), istituto facente parte del Dipartimento di Scienze Bioagroalimentari del CNR, che ringrazio per aver accolto l’invito della nostra Commissione e cedo quindi la parola al nostro ospite. Al suo intervento faranno seguito eventuali domande da parte dei deputati alle quali il nostro ospite potrà poi replicare”.
La Notte: “Sono davvero lieto di esser qui, perché effettivamente è un’opportunità per fare informazione. L’audizione riguarderà le attività che il mio Istituto di Protezione Sostenibile delle Piante sta conducendo, anche come coordinamento di alcuni progetti europei di ricerca; in questa prima slide volevo riepilogare alcuni punti importanti da sottolineare. Il discorso della conoscenza, della consapevolezza che è ancora parziale anche nella nostra Regione, tra i produttori della stessa zona infetta, in generale nell’opinione pubblica. In taluni casi sembra paradossale ma hanno più consapevolezza all’estero della situazione italiana che non in Italia.
La Xylella era e purtroppo resta un patogeno da quarantena per l’intero Paese Europeo, ha interessato con delle epidemie diversi territori, ma il territorio interessato è ancora estremamente ridotto e quindi trattato dalla normativa come un patogeno da quarantena. È una situazione tecnicamente estremamente complessa perché laddove un patogeno nuovo entra in un nuovo ambiente, incontra nuovi ospiti e nuovi vettori, va studiato da zero e purtroppo abbiamo visto l’avanzata dell’epidemia sul territorio molto rapida, quindi sicuramente un fattore che dobbiamo sempre tenere in considerazione è il tempo, che è tiranno e che minaccia in Italia un settore economico di rilevanza come quello olivicolo e vivaistico. Il batterio ormai non è più eradicabile dalla penisola salentina e questa consapevolezza era stata acquisita nel 2015 sia dall’UE ma anche dal Servizio Fitosanitario Nazionale e quindi già a quel tempo si è passati da una strategia di eradicazione ad una strategia di contenimento. Ad oggi manca una strategia definitiva, una cura sperimentalmente verificata ed economicamente sostenibile; non è solo un problema pugliese: ho sentito altre audizioni in cui si parlava di problema nazionale ma non lo è, è un problema in effetti europeo, perché ci sono due epidemie in Corsica e in Costa Azzurra, un’intercettazione che sia radicata in Germania, solo in un vivaio, nelle isole Baleari in Spagna e nella zona di Alicante ed in Andalusia, anche questa in serra. Come vedete, gli studi hanno evidenziato che si tratta di sottospecie diverse, quindi introduzioni accidentali quasi tutte rilevate e provenienti dalle Americhe che complessivamente, considerando tutti i territori demarcati, interessa una superficie di 22.000 km quadrati che è appena lo 0,5% della superficie dell’Unione ed è un patogeno estremamente pericoloso per i danni che riesce ad arrecare.
Altro elemento utile è che mentre nel Salento il passaggio alla strategia di contenimento è avvenuto nel 2015, solo nel dicembre scorso, nel 2017, anche in Corsica e nelle Baleari, i Governi, prendendo atto che il patogeno non era eradicabile, sono passati a una strategia di contenimento.
Sapete che l’individuazione di sequenze di DNA in piante di olivo – ma non solo, anche di mandorlo ed oleandro – è stata effettuata nell’ottobre 2013 dal mio istituto e comunque ad oggi è importante distinguere due problematiche differenti:
Considerate che la Xylella è presente in California, con il ceppo Multiplex che danneggia il mandorlo. Però la California è ad oggi ancora il primo produttore di mandorlo del mondo. Questo significa che in qualche modo, anche in quel caso come gli agrumi in Brasile, si convive con il patogeno.
Le linee di ricerca che sono state attivate, e in cui anche il CNR è coinvolto, riguardano tutti questi aspetti e possono dare un contributo sia al discorso della convivenza che della limitazione dell’avanzata dell’epidemia. In che modo? Prima di tutto acquisendo nuove informazioni: dal 2014 in poi si sono colmati moltissimi gap di conoscenza; come dicevo, quando un nuovo patogeno arriva in un nuovo territorio bisogna ricominciare a studiare tutto da zero, bisogna studiare il batterio, la genetica, la biologia, il vettore – soprattutto se è un vettore nuovo -, capire le sue abitudini, come si comporta per capire come controllarlo; la gamma d’ospiti, che varia a seconda della sottospecie o del tipo genetico, e poi studiare la malattia, cioè l’interazione tra il patogeno e gli ospiti.
Ebbene, queste attività sono state avviate, così come si è lavorato sulle tecniche, sulle metodiche, perché è facile dire monitoraggio. Come si effettua un monitoraggio: si usano tecniche diagnostiche affinate ed adattate ai genotipi presenti nei nostri territorio così come anche l’isolamento del batterio che è stata una delle prime tappe dei primi risultati raggiunti nello studio del patogeno, per arrivare poi – vi dirò qualcosa – al remote sensing; e poi linee di ricerca sul contenimento, per quanto riguarda il controllo del vettore, controllo diretto, di infusione e quant’altro, l’uso di varietà resistenti o tolleranti o i semenzali, sovrainnesti, la verifica in altre specie e colture, sia dell’immunità – perché per esempio per ripartire in Salento bisognerà ripensare non solo all’olivo ma anche ad altre colture che possano essere immuni o resistenti al batterio – e anche, perché no, sostanze antibatteriche, induttori di resistenza ed approcci un po’ futuristici che oggi sono ricerca di base necessaria ed indispensabile, domani potranno speriamo trovare applicazione. Questi sono alcuni degli strumenti con cui svolgiamo questa attività: due sono progetti Horizon 2020, quindi progetti comunitari; il primo che non riguardava solo Xylella ma anche altri patogeni da quarantena è partito nel 2016 e il secondo, X-ACTORS, successivamente. Progetti importanti, di partenariato perché coinvolgono un numero di partner elevatissimo: 29 partner, anche progetti multidisciplinari, che interessano tutti i paesi europei, tutti i paesi che hanno competenze. Sono partner l’università di Berkeley, dei colleghi di Taiwan e brasiliani che il problema ce l’hanno in casa e ci combattono da decenni. C’è poi un altro progetto europeo che si chiama Cure XF che serve a trasferire ricercatori ma conoscenze, soprattutto, nei paesi del bacino del Mediterraneo che sono preoccupati di poter prevenire l’avanzata; poi ci sono progetti regionali, uno chiuso e tre in atto – vedete questi acronimi difficilmente pronunciabili – questo per dire che si sta lavorando con più strumenti veramente in tutte le possibili direzioni. I risultati sono tangibili in termine di pubblicazioni scientifiche ad oggi, almeno per quanto riguarda per i due progetti europei partiti prima, sono oltre 25 su riviste internazionali. Quindi io vi passerò brevemente in rassegna alcune delle linee – questo per quanto riguarda gli stuti genetici: è stato sequenziato integralmente il genotipo presente in Puglia e questo ci permette di capire sia la sottospecie – la sottospecie Pauc – ma anche di capire che questo genotipo è arrivato abbastanza recentemente qua da noi, facendo le sequenze di 70 isolati diversi sul territorio, trovando poche mutazioni, si può predire il tempo di arrivo dell’introduzione accidentale; ed essendo unico in tutti gli ospiti, sempre lo stesso, questo indica che è arrivato con un unico evento accidentale di introduzione e sappiamo anche da dove, dal Centro America, con ogni probabilità dal Costarica, perché le sequenze geniche che abbiamo individuato corrispondono al batterio presente solo in Costarica, zona in cui il batterio si è co-evoluto, quindi è tipicamente presente in maniera endemica.
Passo successivo è stato appunto quello di mettere a punto l’isolamento – una mia collega è volata in Brasile a imparare la tecnica – è stato isolato da olivo e si è partiti nel cercare di investigare la malattia sull’olivo, quella che inizialmente veniva chiamata Compresso del Disseccamento Rapido. Ebbene, si sono applicati i protocolli e in qualche modo è stato dimostrato, in condizioni controllate, che isolando il batterio, re inoculandolo su piante sane, ha riprodotto i sintomi e quindi si è chiuso un po’ il cerchio, quello che si dice dimostrati i postulati Koch. Questo è stato effettuato con una serie di lavori e studi successivi, il primo commissionato da EFSA, i successivi pubblicati su riviste internazionali, che hanno dimostrato che da sola la Xylella è in grado di causare la malattia non solo su olivo ma anche su oleandro e poligala. Gli altri fattori, che possono essere ambientali, di coltivazione, non sono concause nel vero senso della parola ma sono fattori che possono modulare l’andamento della malattia – accelerarla, ritardarla – ma non da soli cause o che ci debbano essere necessariamente per causare la malattia. Ad oggi, anche una serie di indicazioni – si pensava appunto ai funghi, all’eccesso di fitofarmaci, ai problemi legati al suolo – prove e dimostrazioni scientifiche del coinvolgimento di questi altri fattori nella malattia e nel fenomeno epidemico sul territorio non sono sperimentalmente dimostrati. Anche in questo caso le prove scientifiche sono state ripetute, non solo in laboratorio ma anche sul campo: prelevate cinquecento piante in 11 comuni con sintomi chiari della malattia, tutte quante hanno rivelato avere il batterio. Così come è stato escluso il ruolo dei funghi perché sono stati analizzati funghi in tutte le province pugliesi con percentuali variabili ma molto simili fra loro quindi nessuna differenza con quello che vediamo come presenza della malattia sul territorio; la stessa cosa anche l’inoculazione di funghi insieme a Xylella ha dimostrato che i funghi in qualche modo possono avere un ruolo di acceleratori del decorso della malattia ma non sono concause.
Si è poi studiata la gamma d’ospiti. Ad oggi sono 31 gli ospiti dell’ST53 – il Type Strain 53 – e oltre all’olivo, mandorlo e ciliegio molte colture ornamentali e purtroppo specie della flora mediterranea, non tutte con sintomi e danneggiate come l’olivo, ma sono ospiti. Ed è stato studiato il vettore, individuato in un vettore nuovo. Nelle Americhe i vettori son completamente diversi, quindi questo viveva tranquillamente e si è trovato suo malgrado pungendo e alimentandosi sui vasi della linfa grezza, a trasmettere questo agente batterico, molto efficiente purtroppo ma fortunatamente con una sola generazione l’anno. L’anno scorso son stati individuati altri due vettori, sempre dal nostro Gruppo, Philaenus italosignus e Neophilaenus campestris, che però tutto sommato hanno un comportamento simile all’insetto considerato ad oggi il vettore principale. Lo studio del ciclo biologico molto attento ai comportamenti, ci sta facendo capire come controllarlo e, ad esempio, una delle più importanti misure di contenimento, cioè la lavorazione meccanica del terreno per poter controllare la popolazione del vettore, scaturisce proprio da questi studi: nel mese di marzo-aprile un intervento meccanico per eliminare l’erba dove questi vive negli stadi giovanili consente di ridurre considerevolmente le popolazioni del vettore; così come, per esempio, un altro studio che io qua ho riportato – ma è uno dei tanti – si è studiata la capacità di dispersione del batterio, cioè marcati tantissimi individui, rilasciati in un punto, sono stati poi ricatturati a distanze e tempi variabili, e si è visto che da solo il vettore si muove per la maggiorparte intorno ai 50-60 metri dal punto di rilascio ma può arrivare a 120 metri. Quindi in qualche modo significa che magari anche questa indicazione in qualche modo rendono congrui quei 100 metri in qualche modo previsti dall’altra misura dell’eliminazione delle fonti di inoculo nell’area tampone o cuscinetto.
Si stanno anche sperimentando metodi classici di controllo dei parassiti, degli insetti sono stati sperimentati molecole ad azione insetticida, ma ci sono una serie di altri approcci in atto, ad esempio l’uso di piante-trappola o esca, anche questo metodo scaturito dall’osservazione del comportamento del vettore: in piena estate, ad agosto, quando fa troppo caldo, il vettore certe volte predilige spostarsi su cespugli che son più turgidi, su cui si alimenta meglio e abbandonano temporaneamente l’olivo, quindi questo ci ha fatto venire l’idea di usare delle piante-esca; l’uso di colture dette cover-crops per coprire il suolo e che possano avere un’azione repellente;
lo studio dei messaggi vibrazionali: avrete sicuramente sentito parlare della confusione sessuale. In questo gruppo di insetti, loro non dialogano con gli odori ma con le vibrazioni – come tutte le cicale d’altronde – e quindi si sta studiando il meccanismo, il dialogo, per cercare di confondere il ritrovamento dei sessi oppure attirare e catturare; così come si stanno studiando gli endosimbionti, batteri che vivono dentro gli insetti. Come noi siamo pieni di batteri nel nostro intestino, e che hanno un ruolo nella funzione riproduttiva. C’è un gruppo di ricerca del mio istituto a Portici, che ha messo a punto metodiche di controllo degli insetti lavorando sui batteri simbionti. Questo per dire le linee anche nei confronti del vettore sono tantissime.
Un sistema e una linea in cui io sono direttamente coinvolto e in cui abbiamo molte speranze è quello delle resistenze genetiche; d’altronde non sono storicamente moltissime problemi irrisolti hanno trovato soluzione con la resistenza genetica – pensate alla Fillossera, alla Tristeza, alla Sciarca e moltissimi altri – trovando resistenze genetiche nello stesso germoplasma di quella stessa coltura; la stessa cosa è stata fatta per Xylella: in Brasile e in America stanno lavorando sulle resistenze genetiche e noi ci siamo trovati di fronte, nella zona infetta, delle evidenze empiriche, cioè filari completamente verdi a fianco di filari totalmente distrutti. Iniziando ad investigare nelle aree-focolaio siamo riusciti ad individuare quelle 15 varietà più o meno presenti in Salento due varietà con un buon grado di resistenza che continuano a produrre e non seccano pur essendo infette. Abbiamo dimostrato l’attivazione di una serie di geni, quindi resistenze poligeniche più durature proprio legate alla presenza di questi geni: il leccino – che non è una varietà nuova, è la terza varietà del Salento, quindi già presente su buona superficie -; un’altra che si chiama FS17 o Favolosa e – vedete dalle immagini – campi affiancati totalmente differenti. Questo è stato un altro di quei risultati che ha cambiato e attenuato le misure drastiche e di contenimento fitosanitarie perché fino al ritrovamento di queste due varietà era vietato piantare olivi nell’aerea infetta. Ebbene questo divieto è caduto, oggi gli olivicoltori salentini hanno l’opportunità di ripartire puntando su questo germoplasma resistente che, però, è solo un punto di inizio, non pensiamo che possa essere l’unica soluzione, anche perché si tratta solo di due varietà; altro aspetto interessante che voglio evidenziarvi: abbiamo verificato che proprio per la minore concentrazione del batterio nel leccino, questi è un pessimo ospite, può fungere da argine naturale alla diffusione della malattia, perché i vettori pur alimentandosi sul leccino non riescono ad acquisire il batterio e, se lo acquisiscono in bassissima percentuale non riescono a trasmetterlo. Ebbene, questo è anche importante perché significa che il germoplasma resistente potrà avere un ruolo non solo produttivo ma anche epidemiologico, essere lui stesso una barriera per la diffusione della malattia. Si sta chiaramente investigando sulle motivazioni: per esempio la morfologia dei vasi ma sicuramente ci sono molti più fattori coinvolti di differenza tra varietà suscettibili e resistenti; si sta facendo uno screening che è partito nel 2015, di un grandissimo numero di varietà con approcci diversi. Primo approccio è creare campi con piccole piante in zone infette, sottoposte a esposizione naturale ai vettori o inoculate con i vettori; secondo approccio quello del sovrainnesto: innestare varietà su piante già infette, in modo che il batterio passi attraverso l’innesto; terzo approccio: la ricerca di semenzali resistenti. Un quarto approccio è in realtà l’inoculazione meccanica, in serra, seppur per via degli spazi limitati il numero di varietà che si può screenare, analizzare con queste tecniche è ridotto. Qui vedete immagini di campi, complessivamente in pieno campo ci sono 89 varietà in prova e con il prossimo progetto regionale tutte le varietà minori pugliesi circa 85, stanno andando in capo, sono già pronte le piante; invece altro problema è quello della tutela, del cercare di salvare il patrimonio delle piante monumentali che, sembrerà una banalità, ma in Puglia l’olivo ha una funzione culturale, identitaria e paesaggistica fondamentali. Anche qui, da evidenza sperimentale ed empirica, abbiamo trovato una pianta con il tronco di oiarola, quindi una varietà sensibile, innestata 15 anni fa con una delle varietà resistenti, in cui la parte della varietà resistente è completamente verde e il resto è totalmente secco. Quindi il tronco mantiene la funzionalità e la chioma è resistente. L’idea è di tentare di sovrainnestare – cosa che è stata fatta nel nord barese cambiando l’oiarola barese con la coratina – con varietà resistenti; oggi quelle che ci sono leccino e FS, domani con un numero molto più ampio. Nel 2016, pur senza finanziamento facendo affidamento su un’azienda che ha messo a disposizione i suoi campi e ha pagato la manodopera, son stati realizzati 12 ettari e mezzo di campi sperimentali innestando 440 varietà: tutte le varietà principali delle regioni italiane quelle dei paesi europei, nuove varietà da incrocio, addirittura varietà selvatiche di olivo che però potrebbero avere geni di resistenza importanti. Partiti ad aprile 2016, oggi sembra che il progetto avrà una copertura finanziaria da parte della Regione Puglia, il che ci consentirà di accelerare ulteriormente il raggiungimento dei risultati. Stiamo tentando di sperimentare anche tecniche di innesto diverse, per renderle più rapide ed economiche possibili. Certo, non abbiamo garanzia, nel lungo periodo, della funzionalità della tecnica ma a due anni e mezzo la cosa sta funzionando, cercando di acquisire noi informazioni per dare poi informazione agli agricoltori sulla tecnica più efficiente e funzionale per ricostituire rapidamente le chiome delle piante monumentali. Qui vedete un innesto di due anni, molto ben sviluppato e già iniziamo a leggere i sintomi sulle varietà suscettibili; di quelle 440 sicuramente la maggior parte saranno suscettibili ma a noi interessa trovare le resistenti.
Questa è una pianta trovata la settimana scorsa in Agro di Copertino, una pianta di 80 anni innestata da almeno 50 anni in cui la metà pianta di leccino è completamente verde e produttiva a differenza dell’altra parte; questo un ulteriore conforto a quanto dicevo.
Altra tematica è quella dei semenzali, è lo stesso discorso del germoplasma, da ogni seme di olivo potenzialmente abbiamo una nuova varietà. Son semi spesso lasciati dagli uccelli che crescono sui bordi strada o sui muretti a secco: ne sono stati osservati circa 15.000, di questi, quelli senza sintomi circa un centinaio; di questo centinaio, 23, dopo analisi successive, prive del batterio. È una buona speranza soprattutto perché è un po’ antipatico adottare varietà di altri paesi e altri territori, queste varietà hanno genitori le stesse varietà dominanti salentine suscettibili, quindi poter eventualmente trovare una varietà autoctona resistente o immune è sicuramente un obiettivo importante. Per potarci avanti con i tempi stiamo anche facendo la caratterizzazione morfologica e tecnologica perché non è sufficiente che resistano alla malattia ma devono anche produrre un buon prodotto.
Come vi dicevo, nell’ultima legge di bilancio del 10 agosto è stato stanziato un budget per poter proseguire queste attività che forse un po’ incoscientemente ci siamo lanciati nell’avviare due anni e mezzo fa per accelerare il raggiungimento dei risultati.
Altre linee riguardano il ritrovamento di formulati ad azione batteriostatica-battericida, la cosiddetta medicina, la cura che applicata alla pianta possa risolvere il problema; risultati, almeno nei test dei partner di progetto, non sono incoraggianti: un’unica molecola, il Nac, un mucolitico a tutti gli effetti, quello che prendiamo dopo il raffreddore; mentre si stanno provando metodologie diverse tipo peptidi antimicrobici e, perché no, virus che colpiscano i batteri, cioè una lotta biologica con virus, anche questa è una linea di ricerca in atto.
Si sta studiando il microbioma, cioè tutto ciò che vive nei vasi della linfa delle piante, mettendo a confronto piante infette e piante sane o anche varietà resistenti e suscettibili, si stanno sperimentando endofiti, batteri buoni che possano competere per la Xylella nell’ambito dei vasi; è una strategia che utilizza i fattori di diffusione molto complesso anche me che sono un agronomo classico e non un biologo molecolare; però quello che voglio dire è che effettivamente questa attività che si sta portando avanti senza sosta fin dal primo momento, sta avendo risultati concreti. Come vi dicevo prima anche nell’individuazione delle lavorazioni del terreno, anche sulle barbatelle avrete sentito che c’era stato il divieto di commercializzazione delle piante di vite nel Salento – lì c’è un polo vivaistico molto importante – bene, siamo riusciti prima a dimostrare l’immunità di alcune varietà, prima monitorato in maniera tale che i vivai hanno potuto continuare a lavorare con la termo terapia; poi siamo riusciti a dimostrare con i test di patogenicità, che alcune varietà erano esenti e quindi esentate dalla termoterapia; alla fine, quello più concreto, la caduta del divieto di impianto nelle zone infette.
In prospettiva, due ultimi aspetti molto interessanti
Il monitoraggio: abbiamo detto che la Xylella in Salento non è eradicabile, quindi in qualche maniera con il monitoraggio dovremo convivere. Monitoraggio che impiega risorse e uomini in maniera importante. Quindi anche lì, innovazione, quello che si sta cercando con Remote Sensing, cioè l’individuazione e la diagnosi precoce a distanza con foto aeree potrebbe aiutare moltissimo in quella zona che è la valle degli olivi monumentali che con lo spostamento a Nord d’ufficio da parte dell’UE delle aree demarcate non potrà essere interessata dal monitoraggio ufficiale da parte della Regione; conviene proseguire e applicare non più sperimentalmente o comunque su scala più larga queste tecniche.
Questa è un’altra linea di ricerca molto interessante fatta da matematici a cui noi offriamo supporto tecnico sul campo, cioè quello di sviluppare modelli previsionali, modelli matematici che seguono l’evoluzione dell’epidemia, che probabilmente potranno servire ad azioni per migliorare quelle che sono le tecniche di contenimento ma anche le politiche di controllo e di sorveglianza nelle aree ancora non infette. Ci sono informazioni – io ho trasmesso un opuscolo in italiano che deriva dall’ultima conferenza europea sulla Xylella tenuta a Palma de Majorca nel novembre scorso – ma ci sono due siti dove trovate tutta la pubblicazione scientifica aggiornata che sono i siti dei progetti dei Consorzi Europei.
Questa diciamo è un po’ un’immagine del nostro gruppo di lavoro nella sessione di Bari: vedete moltissimi ragazzi, in realtà ricercatori strutturati siamo molto pochi ma grazie alle energie di questi giovani anche grazie a questi progetti è possibile portare avanti contemporaneamente tantissime linee di ricerca”.
Domande rivolte al professore:
Labate: quelle pubblicazioni scientifiche di cui ha parlato in cui sono anche stati dimostrati i postulati di Koch, sono anche state sottoposte a P review oppure no? I punti d’entrata del materiale vegetale in Puglia sono dotati di stanzione di quarantena oggi oppure no? E vorrei un suo parere in merito ai quattro trattamenti fitosanitari che sono stati introdotti nell’ultimo decreto fatto dal Ministero e un parere sulle eradicazioni chirurgiche che dovrebbero essere fatte nella fascia di contenimento
Cunean: volevo due precisazioni: lei ha parlato di piante e cultivar resistenti, volevo un chiarimento sul fatto che siano state definite resistenti o tolleranti, perché se sono tolleranti possono essere anche potenzialmente ospiti del patogeno e quindi anche fornire fonti di inoculo e propagazione successiva.
Ha nominato nell’ultima parte del suo intervento la conferenza europea su Xylella Fastidiosa di Palma de Majorca dove una delle studiose che hanno partecipato, cioè la sua collega Maria Saponari, ha sostenuto che il batterio sarebbe presente sul nostro territorio da almeno 15 anni e addirittura due altre colleghi, sempre nello stesso contesto, parlano di 15 anni, volevo una specifica su questo
La Notte: “Per quanto riguarda le pubblicazioni sulle prove di patogenicità, la prima pubblicazione non è P review ma è una pubblicazione dell’EFSA, cioè una pubblicazione del Panel dell’EFSA che è costituito da 21 esperti ricercatori fitopatologi dell’EFSA che hanno valutato i dati trasmessi dall’Istituto; c’è poi una pubblicazione su Scientific Report che è una rivista del gruppo Nature con altissimo Impact Factor che è assolutamente P review e che è della fine del 2017; poi la dimostrazione anche in pieno campo, per esempio ci sono la dimostrazione non con postulati di Koch ma la stretta associazione tra il batterio e la malattia dell’olivo è stata anche ottenuta sia in Brasile che in Argentina, dove tipi genetici diversi dal nostro ma sempre della sottospecie Pauca causano il disseccamento rapido dell’olivo.
Per quanto riguarda i punti di entrata: è un discorso lungo, nel senso che l’Europa ha un sistema aperto dal punto di vista della quarantena; ci sono altri paesi tipo Cile, Stati Uniti, Australia che hanno sistemi chiusi, sistemi che non vuol dire siano fuori dai mercati – il Cile è il primo esportatore di prodotti agricoli dell’altro emisfero – ma significa che il materiale, prima di poter andare sui mercati, presso le aziende, presso i vivai, deve rimanere in un centro di quarantena per un certo periodo. L’Italia fece una proposta, non ricordo in quale periodo di presidenza dell’UE, per convertire questo sistema, ma ad oggi il sistema rimane aperto; è un sistema che in qualche modo ha dimostrato parecchi limiti. C’è una riforma del sistema fitosanitario in itinere a livello europeo, però i punti di ingresso sono tantissimi, troppi, difficilmente controllabili. Questo è un problema legato anche all’efficacia dei controlli sul materiale che arriva. È una scelta politica quella di avere un sistema aperto o un sistema chiuso, però i controlli richiedono uomini, competenze, strumenti e strutture. Ci sono 42 punti di ingresso nella Comunità Europea, tutto il Cile, che ha una costa di 5.000 km ha due punti d’ingresso.
Ci sono dei controlli su partite in alcuni porti più a rischio, però chiaramente l’efficacia lascia un po’ a desiderare, perché obiettivamente è impossibile controllare tante merci in tanti punti d’ingresso.
Per quanto riguarda il parere sul discorso dei trattamenti: il sistema di controllo della popolazione dei vettori è una misura necessaria. Non sappiamo, perché non è stato mai applicato totalmente, che efficienza possa avere il controllo meccanico; e il controllo degli adulti, che comunque anche laddove si arano e si lavorano i terreni continuano ad essere presenti soprattutto nelle zone cuscinetto e contenimento risulta assolutamente importante. Sul numero dei trattamenti – non sono un entomologo e non posso esprimere un parere – però diciamo che il vettore è comunque presente anche nei mesi fino a dicembre; dipende dall’andamento climatico, tende a spostarsi dall’olivo sulla vegetazione al suolo dove poi si accoppia e depone le uova, però negli autunni miti le popolazioni continuano ad essere presenti. Sulla necessità del numero dei trattamenti non ho le competenze per poter esprimere un parere più dettagliato. Per quanto riguarda invece il discorso delle eradicazioni chirurgiche, lei mi ha citato solo la zona di contenimento; sappiamo che la zona di contenimento è sempre zona infetta, sono gli ultimi km più a nord della zona infetta e il nome stesso significa che le misure prevedono l’eliminazione delle sole piante infette, che è una misura per proteggere la zona cuscinetto, che è la vera zona di frontiera dove invece le misure prevedono l’eliminazione non solo l’eliminazione delle piante, dei focolai puntiformi trovati infetti ma anche di tutte le specie ospiti nel raggio di 100 metri. Oggi misure alternative a queste che, ripeto, sono misure internazionalmente utilizzate, che abbiano la medesima finalità ed efficacia non ce ne sono. Anche in quel caso, conditio sine qua non questa strategia possa funzionare è la tempestività perché se le piante trovate infette, prima di essere eliminate rimangono in campo per altre due stagioni vegetative, fungono da serbatoio di inoculo e abbiamo delle evidenze chiarissime che poche piante di un focolaio puntiforme lasciate per due anni in campo hanno creato un disastro nei territori circostanti.
Leccino e Favolosa sono resistenti, però si infettano. Il leccino ha un fattore di 100 volte in meno di cellule batteriche rispetto all’oiarola e a sua volta la FS 10 volte meno del leccino. Tollerante è quella pianta che non manifesta sintomi ma tollera la presenza del batterio. In questo caso siccome la concentrazione è più bassa, si dicono resistenti. Potenzialmente rappresenta un serbatoio di inoculo, per questo è stato derogato il divieto di impianto solo nella zona infetta dove il batterio è ovunque ma come dicevo sembrano essere dei pessimi serbatoi di inoculo anzi, fungere da vere e proprie barriere naturali.
Sul tempo di permanenza della presenza del batterio non abbiamo ancora dati definitivi, ci sono studi genetici per cui disponendo di sequenze complete di più isolati da più ospiti si può stimare in funzione della variazione dell’accumulo di variazioni puntiformi il tempo di ingresso in un certo territorio.
Stiamo confrontando il genoma completo di 70 isolati diversi, presi in punti diversi su ospiti diversi. Per capire la popolazione di batterio sul territorio è molto uniforme – il che significa che l’introduzione è molto recente – oppure è più datata? Dalle prime indicazioni è difficile dire da quanto tempo in maniera precisa, però per esempio sembra che nelle Baleari, dove la scoperta della malattia è stata successiva alla Puglia, sia da molto più tempo rispetto alla situazione pugliese. È un dato approssimativo che richiede il completamento delle analisi dei 70 genotipi e su questo si sta lavorando con l’università di Berkeley”.