Di Marilù Mastrogiovanni
La scelta di campo emerge da una serie di delibere di Giunta che portano la firma del presidente Michele Emiliano.
L’ultima è la delibera di giunta regionale n.391 del 13 marzo 2018.
In questa delibera l’assessore Leonardo Di Gioia parla di “crisi” delle aziende agricole e dei frantoi causata dalla diffusione del batterio della xylella.
Per fronteggiare la “crisi”, nella legge regionale di assestamento e variazioni del bilancio di previsione (legge regionale n.36 del 8 agosto 2017) ha introdotto una “particolare norma”, così è definita che, all’articolo 36 della legge, prevede degli “interventi finanziari a favore delle aziende agricole colpite dal batterio della xylella fastidiosa”.
Sorvoliamo sul fatto che il batterio non colpisce le aziende ma al massimo s’insedia sulle piante e sorvoliamo sul fatto che la crisi del comparto oleario non è addebitabile, con un meccanismo di causa-effetto automatico, alla presenza del batterio ma a più complesse contingenze del mercato nazionale e internazionale. L’impressione è che con la parola magica “xylella” si cerchi in Puglia di giustificare interventi i più fantasiosi (e dannosi).
I fondi destinati alle banche ammontano a cinque milioni e sono stati depositati su un “Fondo” apposito “per l’allungamento della durata dei mutui agricoli a favore delle imprese agricole danneggiate dal batterio xylella fastidiosa”, su un capitolo del bilancio regionale aperto ad hoc.
Di fatto funziona così: senza dover dare grandi dimostrazioni di aver subito un danno, la Regione Puglia prende per buone le dichiarazioni delle aziende che si trovano nella zona infetta e finanzia l’allungamento della durata dei mutui, da un minimo di 18 mesi fino ad un massimo di otto anni, pagando gli interessi. Si mettono su questo capitolo di bilancio aperto ad hoc (il numero 4032420) cinque milioni.
Che se il Codiro, il disseccamento rapido degli ulivi ha colpito i tuoi ulivi secolari e sei un piccolo proprietario e non un’azienda agricola, t’attacchi. La Regione Puglia finanzia solo l’ampliamento del mutuo alle aziende agricole, non ai piccoli proprietari degli uliveti di famiglia.
Non sono previsti soldi per gli agricoltori. Non ci sono finanziamenti diretti.
Da dove arrivano questi soldi? Sono frutto del fattivo impegno programmatico della Regione Puglia per il contrasto del Codiro?
No.
Non sono soldi “freschi” rinvenuti or ora per la “crisi”, così è definita nella delibera di Giunta, che avrebbe causato la xylella.
Sono soldi che hanno impiegato otto anni per arrivare alle imprese, pardon, alle banche.
Infatti sono soldi stanziati dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) nel lontano 2010 (delibera CIPE 26/2010) e che addirittura partono dalla prima programmazione dei fondi europei del 2000. Da allora l’Italia in 16 anni, dal 2000 al 2016, non ha saputo spendere, accumulando residui per 17 miliardi.
Soldi a disposizione con i quali si sarebbero potute finanziare nuove infrastrutture, soldi per l’ambiente, l’innovazione, anche per l’agricoltura. Ma l’Italia dal 2000 ad oggi non l’ha fatto.
Tant’è. Questi soldi residui vanno a confluire nel 2016 nel “Patto per il Sud” firmato dal governo Renzi, che porta alla Puglia 2miliardi e 71,5 milioni.
I soldi del “Patto per il Sud” arrivano in parte dall’Europa in parte dalle casse dello Stato italiano.
Si chiama “Fondo Sviluppo e coesione” e non ha nulla a che vedere con la xylella e la crisi.
Ha molto a che vedere invece con lo sviluppo e la crescita del benessere delle persone, l’innovazione tecnologia, l’ammodernamento delle pubblica amministrazione, lo snellimento burocratico, i servizi alle famiglie, l’ambiente e la legalità.
Si, perfino i finanziamenti per promuovere la legalità ci sono nel “Fondo Sviluppo e coesione”, che si chiama così, appunto, e non “Fondo per la crisi dovuta alla xylella”, o, peggio “Fondo per le aziende colpite dalla xylella” (sic!).
Ma, ancora una volta, tant’è.
Questi soldi invece di finanziare lo “sviluppo” si danno alle banche per finanziare i mutui. Premiando quindi le aziende indebitate.
Perché, c’è da dire, che se l’azienda non ha mutui e non ha debiti con le banche, nisba. Anche se è stata “colpita dalla xylella” non le tocca nulla. E’ possibile fare questo? E’ possibile che i soldi per lo “sviluppo” siano presi dal Fondo di coesione e usati per la presunta “crisi”?
Emiliano poi invoca un decreto urgente che gli consenta di abbattere gli alberi. Non capiamo perché: il decreto Martina impone già abbattimenti e l’utilizzo di insetticidi cancerogeni a tappeto. Riprende per intero il vecchio decreto Silletti e la decisione di esecuzione della Ue (n.789 del 2015) con cui si introduce il criterio dello sradicamento di ogni vita vegetale in un’estensione pari a 3,3 ettari nel raggio di un’unica pianta risultata positiva a xylella.
Però qualcosa di buono c’è in quel famigerato decreto Martina (decreto ministeriale del 13 febbraio 2018):
C’è di buono che è vecchio.
Esatto: scaduto, passato, superato dai fatti.
Perché il decreto del ministro dell’agricoltura Maurizio Martina, che impone l’utilizzo degli insetticidi a tappeto da Fasano in giù per quattro volte l’anno, è stato approvato prima che la Commissione europea mettesse al bando quelle stesse sostanze.
Quel divieto è stato votato anche dall’Italia. Da molti con superficialità è stata definita una posizione schizofrenica: in verità il decreto Martina è stato semplicemente superato dalle successive decisioni prese dall’Italia in sede europea.
Quegli insetticidi saranno vietati a partire dal 1 Gennaio 2019, ma il futuro Governo non potrà non tenere conto dell’imminente entrata in vigore del divieto, che è stata la stessa Italia a votare. Inoltre, il decreto Martina demanda alla Regione Puglia, in particolare all’Ufficio fitosanitario regionale, di fissare alcuni paletti. Cosa che non è stata fatta, in quanto è in vigore il vecchio regolamento, che però si rifà ad un decreto che l’ultimo decreto di Martina abroga. Materia da giuristi che vogliano trovare il modo di trovare una falla nell’impianto normativo ministeriale, dove infilare i ricorsi che blocchino l’attuazione del decreto Martina, almeno fino al 1 gennaio 2019.
Altra nota positiva contenuta nel decreto Martina: tra le sostanze che gli agricoltori sono obbligati ad utilizzare per uccidere gli insetti, tutti, non solo la sputacchina, ce ne son due utilizzate per l’agricoltura biologica.
C’è anche l’olio essenziale di arancio dolce. Perché tale sostanza fosse riconosciuta dal Ministero dell’Agricoltura tra quelle “autorizzate” ad essere usate sull’ulivo, le aziende bio riunite nel “Comitato Sos salviamo ora il Salento” hanno fatto grandi battaglie legali, vincendole.
Sono le stesse aziende che per prime hanno impugnato il piano Silletti, chiedendo ed ottenendo la sospensiva dinanzi al Tar, dando il là alla pioggia di ricorsi che ne è seguita.
Quei ricorsi delle aziende del Comitato Sos – Salviamo ora il Salento, sono stati anche gli unici ricorsi vinti, gli unici con un effetto reale e concreto. Gli altri ricorsi sono stati ritirati o sono stati persi.
Nel panico che (giustamente) il decreto Martina ha scatenato tra gli agricoltori a causa dell’obbligo di usare gli insetticidi, è sfuggito proprio questo: volendo proprio ottemperare all’obbligo, si può optare per due sostanze usate per l’agricoltura bio, cioè l’olio essenziale di arancio dolce e le piretrine naturali.
E’ vero anche che tali sostanze usate nel periodo delle fioritura sono comunque nocive per le api e gli insetti. Quindi, fa notare il Comitato sos, è bene evitare.
Questa ed altre osservazioni sono contenute in una petizione appena lanciata dal Comitato sos salviamo ora il Salento, che ammonisce:
Perché se è stato dimostrato che si può convivere con il batterio e che sradicare non serve (la Corsica è zona infetta, ce ne sono altre in Spagna, Germania, Francia, Belgio), si continua a battere su quel chiodo da cinque anni? Perché si vuole uccide invece di curare?
Quando troveremo la risposta a questa domanda avremo anche trovato il bandolo dell’affare xylella.