Di Marilù Mastrogiovanni
Foto di Mimmo Giglio
Forse a voi non farà alcun effetto sfogliare con i polpastrelli della mano, pagina dopo pagina, la storia scritta dai secoli e nascosta dietro ogni cerchio concentrico impresso nel legno d’ulivo.
Non vi farà alcun effetto, sentire l’odore dolciastro del legno tagliato, perché non crea un corto circuito nella vostra mente, ma a noi si. Un corto circuito, perché quell’odore ci riporta a inverni secchi, a uliveti “mmunnati” dopo la raccolta, ed era un odore buono, di attesa dei racconti davanti al fuoco, acceso con le “lìune”, i tralci di vite, e alimentato con rami d’ulivo. Era un odore di riposo dalle fatiche, di sicurezza che ti arriva, bambina, dal fatto che è tornato l’inverno e tornerà l’estate e tornerà la raccolta e l’olio nuovo da assaggiare sul pane fresco. Era la fiducia nel futuro: il lavoro che dà guadagno, la fatica che dà il pane, la terra che non tradisce, gli ulivi che non muoiono mai.
Oggi quell’odore ora è puzzo di morte. Sradicare un ulivo millenario finora era semplicemente inimmaginabile.
Adesso un pasticcio di leggi regionali e nazionali sta portando allo sradicamento autorizzato anche dei “patriarchi” di Puglia. Questi, dal momento che non sono stati censiti, possono e devono essere estirpati, per ottemperare alle norme regionali, ministeriali, europee per il contrasto del batterio della xylella.
Qui ricostruiamo i vari passaggi normativi che hanno consentito di sradicare alberi altrimenti intoccabili.
E queste sono le immagini di quello che sta accadendo ad Oria.