“La commissione europea è obbligata a tenere in considerazione la decisione comunitaria (n.789/2015) sullo sradicamento degli ulivi, compresa l’imposizione del taglio degli alberi sani nel raggio dei 100 metri da quello positivo a xylella. Salvo nuovo evidenze scientifiche”. La Corte di giustizia europea s’è espressa oggi nell’attesa sentenza (n.428/2016) sui ricorsi di due proprietari del brindisino, l’avvocato Giovanni Pesce e Cesare Serinelli. Ancora la Scienza tirata in ballo. Ancora il giudizio sulla correttezza delle decisioni rimanda ai criteri scientifici in base ai quali tali decisioni sono state prese. Punto e a capo. La palla viene rimandata al Tar del Lazio.
Afferma l’avvocato Giovanni Pesce: “Nello stesso tempo, però, la Corte ritiene che si tratti di espropriazione per pubblica utilità e che perciò deve essere corrisposto l’indennizzo ai proprietari/agricoltori ai sensi dell’art. 17 della Carta Diritti Uomo. Ciò a mio avviso rappresenta l’unico punto buono ma fondamentale, perché Stato e Regione dovranno rivedere totalmente il quadro finanziario dell’operazione: prima si stimava 140 euro per albero sano; ma un indennizzo a valore pieno si aggira secondo perizia a 3-4000 euro ad albero. Sul piano pratico dunque al momento cambia poco. La causa ora torna al Tar Lazio, da cui proveniva. Il Tar però dovrà fissare udienza ed esaminare questi ed altri profili”. Ma entriamo nel dettaglio.
Nella sentenza leggiamo che: “Tuttavia, occorre ricordare che, come si è indicato al punto 51 della presente sentenza, se la situazione dovesse evolvere nel senso che l’eradicazione del batterio Xylella non impone più, sulla scorta di nuovi dati scientifici pertinenti, di procedere alla rimozione immediata di tutte le piante ospiti in un raggio di 100 metri attorno alle piante infette, spetterebbe alla Commissione, a norma dell’articolo 16, paragrafo 3, della direttiva 2000/29, modificare la decisione di esecuzione 2015/789 ovvero adottare una nuova decisione, al fine di tener conto, nel rispetto dei principi di precauzione e di proporzionalità, dell’evoluzione sopraindicata”.
Come abbiamo spiegato, questo significa che se nuove evidenze scientifiche dimostrassero che sradicare gli alberi non serve per contrastare l’avanzata del batterio, la Commissione europea dovrebbe modificare la decisione di esecuzione 789/2015. Il paradosso è che è la pratica empirica che ha già dimostrato che sradicare non serve per contrastare l’avanzata del batterio: se è vero che il batterio avanza verso nord, significa che aver sradicato gli ulivi non è servito.
Aggiunge la Corte che “le autorità italiane sono state coinvolte nell’adozione di quest’ultima (decisione 789/2015, ndr), sicché esse dovevano conoscere tanto le ragioni all’origine di tale provvedimento, quanto le misure preventivate dalla Commissione per eradicare il batterio Xylella”.
Cioè è stata una decisione concordata, non subita dal Governo italiano e dalla Regione Puglia.
Perciò si smetta di giocare a scaricabarile dando la colpa all’Europa, perché c’è un’altra stilettata che arriva dalla Corte , rivolta alle Autorità italiane, ossia Governo e Regione Puglia (governo Vendola), e che fa chiarezza.
Scrivono i giudici: “Inoltre, per quanto riguarda il carattere rigorosamente proporzionato di tale obbligo (di rimozione delle piante, ndr), non è stata prospettata alcuna misura alternativa meno gravosa, per quanto riguarda le piante infette, che sarebbe idonea a raggiungere questo stesso obiettivo”.
Ripetiamo: “Non è stata prospettata alcuna misura alternativa meno gravosa, per quanto riguarda le piante infette, che sarebbe idonea a raggiungere questo stesso obiettivo”.
Se poi colleghiamo questa certezza, espressa dalla Corte, con l’altra certezza e stilettata, sul fatto che ogni decisione è stata “concordata” con la Autorità italiane, e se poi colleghiamo questo ad due altre “non certezze” scientifiche, ossia la mancanza del nesso di causalità e la mancanza di dati scientifici sui vettori (lo avevamo scritto più volte, ma ora lo ratifica la Corte), allora abbiamo un’altra prova (che da tempo abbiamo evidenziato): sradicamento presentato (dalla REgione) come unica soluzione possibile. E’ proprio questo infatti che afferma la Procura di Lecce.
Aggiungiamo noi: volontà di sradicare anche in mancanza di dati scientifici certi.
Ecco la risposta: “EFSA, dopo aver constatato nel suo parere del 6 gennaio 2015 che «[i] vettori infettivi possono diffondersi localmente volando o facendosi trasportare passivamente dal vento su distanze più lunghe» (pag. 4), precisa – pur riconoscendo che «i contributi alla propagazione derivanti dal fattore umano e dal vento sono ancora incerti e vi è una mancanza di dati riguardo alla distanza che gli insetti vettori possono coprire volando» (pag. 4) – che «[t]aluni dati disponibili suggeriscono che una distanza di 100 metri costituisce una distanza di diffusione che pare appropriata» (pag. 62). Inoltre, risulta da questo parere che «[l]a diffusione è essenzialmente limitata a delle cicaline, che possono volare, in media, per un centinaio di metri, ma che possono anche essere sospinte dal vento su distanze più lunghe».
Oggi cambia tutto. E continuerà a cambiare.
Ci sono nuovi dati, lo studio del vettore (la cicalina) è stato in parte completato, anche se il nesso causa-effetto non è ancora provato. E’ provato sulle piante giovani di ulivi, in laboratorio, ma non in campo e su ulivi secolari.
La decisione di sradicare, dunque, era legittima allora ma, dovendo essere applicata oggi, si può ancora considerare tale?
La risposta è sempre nella sentenza: no. Ossia: la sentenza fa riferimento al fatto che nuovi dati scientifici potrebbero cambiare tutto.
Riguardo allo sradicamento degli alberi come un “esproprio per pubblica utilità” cui corrisponda un indennizzo pari all’effettivo valore delle piante: la Corte di giustizia è concorde, affermando che “occorre rilevare che (…)[n]essuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa», e che «[l]’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale».
Ciò di fatto rende irrealizzabile ogni piano di contenimento del batterio tramite sradicamento degli alberi: perché l’indennizzo dovrebbe essere 30 volte tanto, passando da 140 euro a 4.000 (le perizie tanto stimano il valore degli alberi secolari). E chi li ha i soldi? Quindi come andrà a finire?
Come ha evidenziato Rosa D’Amato (parlamentare Ue, M5S) la prossima sfida è derubricare la xylella fastidiosa da “patogeno da quarantena” a “patogeno endemico”, cioè un batterio la cui presenza è ormai stabile e consolidata in Puglia. Di conseguenza le “misure di eradicazione”, incluso lo sradicamento degli ulivi, non sarebbero più necessarie. Un po’ come quando si alza l’asticella delle percentuali degli elementi chimici dannosi nell’acqua. Basta dire che è tutto a posto se c’è più piombo, che è a norma, e l’acqua si può bere. L’Italia lo fa da sempre. Adesso lo stiamo insegnando anche a farlo all’Europa.
Un altro passaggio importante contenuto nella sentenza riguarda la dimostrazione della causa-effetto tra presenza di xylella e disseccamento degli ulivi. Dimostrazione che non c’è, come abbiamo sempre dimostrato, ascoltando autorevoli scienziati, e come ha dimostrato la Procura di Lecce. Ora la ratifica di questo, cioè della mancata dimostrazione del nesso di causalità arrivata da una sentenza della Corte di giustizia Ue.
Leggiamo infatti nella sentenza: “Se è pur vero che l’EFSA non ha dimostrato (…) l’esistenza di un sicuro nesso di causalità tra il batterio Xylella e il disseccamento rapido degli ulivi nella Regione Puglia, (…) ha nondimeno messo in evidenza (pag. 3) – come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 116 delle sue conclusioni – una correlazione significativa tra tale batterio e il manifestarsi di detta patologia”.
Questo però ai fini delle procedure burocratiche della Ue non cambia nulla.
Il problema è che, oggi chi paga? Di sicuro i cocci sono nostri. La Corte, in sostanza, ritiene che, salvo nuove evidenze scientifiche delle quali la commissione è obbligata a tenere in considerazione, la decisione comunitaria del 2015 sulle eradicazioni (compresa la parte del taglio nel raggio di 100 mt) deve ritenersi nel suo complesso legittima. Come ha precisato l’avvocato Pesce, nello stesso tempo, però, la Corte ritiene che si tratti di espropriazione per pubblica utilità e che perciò deve essere corrisposto l’indennizzo ai proprietari/agricoltori ai sensi dell’art. 17 della Carta Diritti Uomo.
E siccome il valore reale degli alberi secolari oscilla dai 3000 i 4000 euro, ecco che il piano di eradicazione diventa irrealizzabile. Ci salverà, come sempre, l’intricata burocrazia. Che farà si che tutto cambi perché nulla cambi. La xylella sarà dichiarata endemica e non ci sarà più alcun obbligo di rimozione degli alberi. Ma in attesa che si faccia qualcosa, gli alberi seccano, non si capisce bene perché, e chi vuole, può sradicarli e costruire.
(Marilù Mastrogiovanni)
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[…] complementari, dai rapporti tra loro consolidati: CNR; Università, IAM , Istituto Basile Caramia. Al loro lavoro si sono incardinate le pesanti e unidirezionali decisioni degli organismi europei. Anche i due principali bandi di ricerca Horizon 2020 (Ponte e Xf Actors), che coinvolgono decine […]
Cioe, e valida la proporzione per cui, a fronte di un albero su cui e presente il patogeno da quarantena, e necessario fare il deserto nei tre ettari intorno. La decisione di Lussemburgo era nell aria, specie dopo la pronuncia, il 12 maggio scorso, dell avvocato generale della Corte, alle cui conclusioni i giudici si sono adeguati.