di Marilù Mastrogiovanni
Mi rifaccio alle parole immense di Erri De Luca, pronunciate prima della sentenza di assoluzione.
Sottoscrivo ogni virgola di quanto egli ha dichiarato, non potrei dirlo meglio e non mi avventurerò alla ricerca di nuove e articolate argomentazioni.
Lo dirò perciò senza mezzi termini: il piano Silletti va sabotato.
E’ necessario ricordarci chi siamo e fare quello che fecero i nostri nonni quando occuparono le terre d’Arneo per strapparle ai proprietari terrieri, ai feudatari che li avevano schiavizzati per secoli.
I nostri nonni salirono sugli alberi, sugli ulivi. Ce lo siamo dimenticato? (a sinistra la copertina del libro “Sangue di quella terra” dedicato alle lotte contadine del 1946/48 nel Salento)
Ora, che sono gli alberi, proprio quelli, gli stessi ulivi ottenuti con la lotta pacifica di centinaia di contadini, ora che sono quegli ulivi ad essere in pericolo, è necessario proteggerli.
Impedire col proprio corpo che le ronde dell’Arif vi si avvicinino.
Il piano Silletti impone di realizzare una fascia di deserto tra Lecce e Brindisi e impone di sradicare, in provincia di Brindisi, per ogni albero risultato positivo a xylella, tutte le piante, anche quelle sane, nel raggio di 100 metri da quell’albero, cioè impone di desertificare a macchia di leopardo gli uliveti del brindisino. Il piano Silletti perciò va sabotato.
E’ necessario che i cittadini onesti, senza scendere a patti con nessuno, si riapproprino pacificamente del loro diritto alla vita.
Difendere gli ulivi è questo: né più, né meno. Perciò non abbiate paura.
Nessuno potrà multare quei cittadini perché stanno difendendo se stessi, il proprio unico mezzo di sostentamento, l’unica fonte di ossigeno, l’unico polmone verde della Puglia, la più grande foresta d’ulivi secolari e millenari del mondo.
“Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa”, ha affermato Erri De Luca in riferimento alla Tav.
Quegli ulivi, ce li hanno dati i nostri padri e le nostre madri, e ancora prima loro li hanno ricevuti dalle loro famiglie.
Noi li dovremo dare ai nostri figli.
Non ci possono essere compromessi su questo: solo la rivolta pacifica potrà far revocare il Piano Silletti.
Eppure oggi, nel corso dell’occupazione spontanea della Lecce-Brindisi, alcune persone s’erano accordate con la Digos per sgomberare la strada entro le 12, andando poi a minacciare con fare mafioso gli umili contadini e contadine (si, molte erano donne) che volevano invece rimanere a protestare, dicendo loro di sgomberare il campo perché “questi erano gli accordi”.
Dunque quell’occupazione della statale è stato solo un diversivo concordato: i contadini sono stati tenuti lontano dai luoghi dove le ruspe hanno continuato indisturbate a sradicare (nella foto di Sabrina S., un ulivo sradicato).
Questa è la nostra condanna: la mafiosità, la minaccia, il ricatto, ce l’abbiamo nel dna.
Ha ragione Rosy Bindi quando, da presidente della Commissione parlamentare antimafia, fa notare che il problema è “la mafia nel dna”.
Quando saremo in grado di scacciarla via, la mafia, con sdegno? Quando? E’ doveroso farlo ora.
Non abbiate paura: nessuno potrà arrestarvi se la rivolta è pacifica.
Gandhi e Nelson Mandela hanno cambiato il mondo usando “la parola contraria”, il sabotaggio pacifico.
Possiamo cambiare noi questo pezzettino di terra?
ECCO LE PAROLE PRONUNCIATE IN AULA IL 19 OTTOBRE 2015 DALLO SCRITTORE ERRI DE LUCA:
Sarei presente in quest’aula anche se non fossi io lo scrittore incriminato per istigazione. Aldilà del mio trascurabile caso personale, considero l’imputazione contestata un esperimento, il tentativo di mettere a tacere le parole contrarie. Perciò considero quest’aula un avamposto affacciato sul presente immediato del nostro paese. Svolgo l’attività di scrittore e mi ritengo parte lesa di ogni volontà di censura. Sono incriminato per un articolo del codice penale che risale al 1930 e a quel periodo della storia d’Italia. Considero quell’articolo superato dalla successiva stesura della Costituzione della Repubblica. Sono in quest’aula per sapere
se quel testo è in vigore e prevalente o se il capo di accusa avrà potere di sospendere e invalidare l’articolo 21 della Costituzione.
Ho impedito ai miei difensori di presentare istanza di incostituzionalità del capo di accusa. Se accolta, avrebbe fermato questo processo, trasferito gli atti nelle stanze di una Corte Costituzionale sovraccarica di lavoro, che si sarebbe pronunciata nell’arco di anni. Se accolta, l’istanza avrebbe scavalcato quest’aula e questo tempo prezioso. Ciò che è costituzionale credo che si decida e si difenda in posti pubblici come questo, come anche in un commissariato, in un’aula scolastica, in una prigione, in un ospedale, su un posto di lavoro, alle frontiere attraversate dai richiedenti asilo. Ciò che è costituzionale si misura al pianoterra della società.
Inapplicabile al mio caso le attenuanti generiche,se quello che ho detto è reato, l’ho ripetuto e continuerò a ripeterlo.
Sono incriminato per avere usato il verbo sabotare. Lo considero nobile e democratico. Nobile perché pronunciato e praticato da valorose figure come Gandhi e Mandela, con enormi risultati politici. Democratico perché appartiene fin dall’origine al movimento operaio e alle sue lotte. Per esempio uno sciopero sabota la produzione. Difendo l’uso legittimo del verbo sabotare nel suo significato più efficace e ampio. Sono disposto a subire condanna penale per il suo impiego, ma non a farmi censurare o ridurre la lingua italiana. ”A questo servivano le cesoie” : a cosa? A sabotare un’opera colossale quanto nociva con delle cesoie? Non risultano altri insidiosi articoli di ferramenta agli atti della mia conversazione telefonica. Allora si incrimina il sostegno verbale a un’azione simbolica? Non voglio sconfinare nel campo di competenza dei miei difensori. Concludo confermando la mia convinzione che la linea di sedicente alta velocità in Val di Susa va ostacolata, impedita, intralciata, dunque sabotata per la legittima difesa della salute, del suolo, dell’aria, dell’acqua di una comunità minacciata. La mia parola contraria sussiste e aspetto di sapere se costituisce reato.
Erri De Luca